
Come ogni imprenditore potrà facilmente immaginare, le decisioni prese all’interno di un’azienda familiare possono essere davvero ostiche in quanto le loro implicazioni rischiano di avere conseguenze estremamente pesanti non solo per il futuro del business, ma anche per quello della famiglia stessa: “Chi nominerò come il prossimo CEO, mia figlia o mio figlio?” oppure “Posso affidare decisioni chiave ad esterni?”.
Per aiutarti a comprendere meglio il ragionamento che seguirà, userò una semplice analogia ideata da J.Baron, R.Lachenauer e S.Ehrensberger che spiega come vengono prese decisioni nelle aziende familiari di successo.
Proprio come in casa teniamo divise camera da letto e cucina, i business familiari di successo funzionano suddividendo lo “spazio” disponibile quattro diverse “stanze”: la stanza della proprietà, la stanza del consiglio, la stanza dell’amministrazione e la stanza della famiglia.
All’interno di ogni spazio vengono prese decisioni specifiche, ad esempio la stanza della proprietà viene usata per definire gli obiettivi aziendali e scegliere i membri del consiglio, mentre nella stanza del consiglio vengono monitorate le prestazioni aziendali e scelto il CEO.
Allo stesso modo, dalla stanza dell’amministrazione viene diretta tutta la parte operativa e infine la stanza della famiglia serve per garantire continuità all’azienda stessa e sviluppare le abilità degli eredi.
Le aziende familiari ben gestite sanno incanalare ogni singola decisione all’interno dello spazio appropriato, e i ruoli e i comportamenti dei suoi occupanti variano a seconda della stanza in cui si vengono a trovare.
Anche la stessa fonte del potere decisionale varia parecchio in base alla stanza di riferimento. Negli stanza della proprietà le decisioni vengono prese da colui che controlla le quote aziendali, direttamente o tramite fiducia.
Nella stanza del consiglio i direttori si influenzano l’un l’altro da pari a pari, mentre il CEO controlla dipartimenti organizzati su base gerarchica e prende decisioni basate su potenziali ritorni finanziari. Nelle stanza di famiglia in genere si opera per consenso e le decisioni vengono prese in base all’impatto che avranno sugli eredi.
Il “modello a quattro stanze” aiuta a capire e gestire i vari vincoli decisionali. Un CEO esterno (non di famiglia), ad esempio, rimarrà nella stanza dell’amministrazione a gestire gli aspetti strategici senza però andare a influenzare le scelte universitarie dell’erede del business.
Allo stesso modo, ogni giorno i dirigenti prendono numerose decisioni sul come realzizare al meglio ciò che è stato dettato con la strategia aziendale ma non hanno voce su quelle riguardanti la politica dei dividendi (quello spetta alla proprietà).
Da questo punto di vista, neppure gli abitanti degli stanza di famiglia fanno eccezione: non possono semplicemente entrare in ogni altro spazio e cominciare a dettare ordini, ma devono seguire procedure specifiche per comunicare quali siano le loro esigenze dei vari “inquilini”.
Le quattro stanze non seguono un’organizzazione casuale, ma fanno riferimento ad una precisa scala gerarchica: l’amministrazione agisce in base alle direttive del consiglio, che a sua volta deve rispondere alla proprietà.
La famiglia non si trova al vertice di questa struttura, ma piuttosto la affianca agendo da simbolo di unità per l’intera azienda e come luogo di apprendimento per i suoi membri, che una volta formati, potranno muoversi in uno degli altri spazi.
Le stanza della famiglia è quindi una sorta di spazio a parte, che può anche essere utilizzato per gestire le crisi e i conflitti interni senza che questi rischino di sfociare all’esterno e influenzare gli altri spazi.
Usando il modello a quattro stanze per la gestione del business familiare, possiamo individuare tre principali sfide che riguardano il processo decisionale.
Caso A: stanza singola
La famiglia A svolgeva ogni attività all’interno di un’unica “stanza”, e tutto il suo business veniva fisicamente gestito in sala da pranzo. I nove figli, ognuno dei quali ricopriva un ruolo strategico e possedeva la stessa quota aziendale, mangiavano insieme tutti i giorni. La stanza da pranzo fungeva così a tutti gli effetti da stanza della proprietà, stanza del consiglio, stanza dell’amministrazione e stanza della famiglia.
All’interno di un’unica seduta, era quindi pratica comune discutere di tutte le minuzie amministrative riguardanti gli affari di tutti i giorni (come la decisione dei prezzi di listino), le migliori modalità con cui investire le liquidità multi-milionarie e le località in cui trascorrere le vacanze.
Si trattava insomma di discussioni interminabili che raramente portavano prendere effettivamente decisioni importanti per il loro business, la cui gestione rappresenta senza dubbio una delle sfide più grandi (e pericolose) che un’impresa familiare possa affrontare.
Le loro conversazioni tendevano a divagare costantemente nonostante ci fosse l’effettiva necessità di intraprendere delle scelte riguardanti il fatturato in caduta libera. Cosa stava accadendo?
Innanzitutto, l’ambiente informale favoriva delle interazioni coinvolgenti e stimolanti, ma che raramente permettevano di approdare a decisioni effettive. E anche quando si riusciva finalmente a concordare un piano d’azione da seguire, molto raramente questi erano seguiti da successive azioni supplementari che ne avrebbero dovuto verificare l’effettiva applicazione.
Inoltre, quasi sempre il processo decisionale incontrava una sorta di consenso universale, che era basato sulla parità delle quote aziendali possedute e non sulla maggiore esperienza che alcuni dei partecipanti avevano in determinate aree rispetto agli altri fratelli.
Molti business familiari possiedono questa stessa modalità estremamente informale di condividere informazioni, e molto spesso al loro interno si tende ad ignorare come solo alcuni accorgimenti organizzativi potrebbero avere un impatto enorme sulla qualità e sull’efficacia dell’intero processo decisionale.
La totale mancanza di questa consapevolezza ha normalmente origini storiche, ma la sua risoluzione può essere spiegata con un’ulteriore analogia.
Le aziende famigliari nascono come un’enorme soffitta all’interno di cui vive uno scapolo (fondatore), che funziona come una sorta di magazzino pesantemente convertito dove vengono combinate all’interno di un unico spazio le funzioni di stanza da letto, stanza, bagno e cucina. Quando questi mette su famiglia e ha dei figli, sente il bisogno di una casa più grande dotata di muri divisori.
Allo stesso modo, quando un’impresa familiare affronta il passaggio generazionale e il fondatore passa il testimone ai propri figli, il sistema iniziale deve evolvere in una struttura molto più organizzata e sofisticata tale da rendere più efficace il processo decisionale di tipo strategico.
Per poter risolvere il caso della famiglia A è stato necessario far notare loro questo aspetto e aiutarli quindi a suddividere il loro sistema in quattro stanze separate. Sono state create delle commissioni di esecutivi, ognuna delle quali si occupava esclusivamente del proprio core business e rispondeva a dei direttori specifici.
E’ stato creato anche un consiglio dei proprietari in modo da poter decidere come allocare il capitale all’interno del business, e un consiglio di famiglia per facilitare la formazione degli eredi del business.
I nove fratelli hanno smesso di occuparsi di ogni aspetto dell’azienda contemporaneamente, accettando infatti di spostarsi in stanze distinte e di essere affiancati da personale specializzato in grado di aiutarli a prendere decisioni strategiche in modo più efficace.
Certo è servito del tempo per adattarsi alla nuova struttura, ma farlo ha permesso ai nove fratelli di riuscire a prendere delle decisioni difficili ma importanti riguardanti il loro business e di focalizzare il proprio ruolo in base alle relative abilità e agli interessi.
Naturalmente continuano a pranzare insieme, ma stavolta lo fanno solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme mentre discutono serenamente della propria vita privata.
Caso B: stanza mancante
Per molti aspetti, la famiglia B era il classico esempio di impresa familiare da manuale: avevano degli addetti amministrativi di famiglia di prima categoria guidati dalla direzione di famiglia da guinnes. Avevano anche una stanza del consiglio eccezionale, formata da una miscela vincente di personale esterno e di famiglia.
I direttori si incontravano regolarmente e supervisionavano l’attività commerciale al meglio, il che portava a dei dividendi invidiabili e ad una costante crescita nel volume di affari.
C’era però un’unica pecca: mancava la stanza della proprietà. Per scelta personale, i proprietari avevano infatti affidato una delega ai direttori. Certo, organizzavano annualmente un’assemblea degli azionisti come richiesto dalla legge, ma il tutto aveva una funzione puramente proforma: la delega permetteva infatti ai direttori di autoeleggersi.
Con il tempo però si era venuta a creare una maggioranza di direttori esterni (non di famiglia) e così, a poco a poco, l’influenza diretta dei proprietari sull’azienda era cominciata a svanire. Il consiglio svolgeva un ottimo lavoro nell’organizzare le riunioni annuali e nello sviluppare le capacità dei propri successori, ma non era in grado di trasmettere efficacemente agli altri una visione coerente basata sulle esigenze e sulle decisioni della proprietà.
Il consiglio continuava a chiedere “Cosa vuole la proprietà? Vuole far crescere il business? Desidera maggiore liquidità?”. Senza la stanza della proprietà, i membri della stanza del consiglio non avevano modo di rivolgere queste domande ai proprietari. E senza il loro punto di vista, i direttori non potevano fare altro che tracciare la rotta che ritenevano più opportuna.
Ci sono voluti anni prima che la proprietà cominciasse a realizzare che la strada che la loro stessa impresa aveva intrapreso non era che volevano, ma a quel punto non avevano più una sede da cui far sentire la propria voce!
Un’azienda di famiglia priva della stanza della proprietà è come una casa senza cucina: non importa quanto nel complesso quella casa possa essere elegante o ben costruita, non sarà mai funzionale! Nonostante questo, nelle imprese familiari statunitensi la stanza della proprietà è quella più spesso mancante.
In parte, ciò è dovuto al fatto che, negli Stati Uniti, le Business School formano i dirigenti pensando quasi esclusivamente alle esigenze delle società quotate in borsa, e così molto spesso i bisogni delle aziende private vengono ignorati non solo nel corso delle lezioni accademiche, ma anche nella vita di tutti i giorni.
In questo contesto, le figure più specializzate a cui rivolgersi sono rappresentate dai consulenti, che a differenza delle scuole si dedicano quotidianamente a seguire le dinamiche decisionali delle aziende di famiglia e ne conoscono appieno le esigenze.
Nell’esempio di prima, in mancanza di una stanza della proprietà il collegamento della famiglia con l’impresa viene a mancare. E quando i proprietari assumono poco alla volta uno stato passivo, anche il loro controllo del business viene meno in quanto ci sono dei delegati che prendono ogni decisione al posto loro.
D’altra parte, in Europa ci sono molte aziende di famiglia molto importanti che possiedono gli stanza della proprietà ma non le stanza famigliari. In questi casi, il denaro diviene per loro il motivo di preoccupazione principale e le decisioni vengono prese in base al puro diritto di voto, anche mentre si discute il budget da dedicare alla successiva riunione di famiglia.
Naturalmente, per la famiglia B il problema era ben diverso: avevano bisogno di creare uno spazio funzionante dedicato alla proprietà. Per riuscirci, la famiglia doveva per prima cosa fare qualcosa di estremamente scomodo, ovvero creare un apparato gerarchico dedicato ai soli proprietari, e dunque non a coniugi o parenti acquisiti (in altre parole, un consiglio della proprietà).
Da quel punto in avanti, i proprietari cominciarono migliorando gradualmente la loro conoscenza del business di famiglia e solo in seguito elessero dei loro rappresentanti che sarebbero poi stati autorizzati dall’intero gruppo a definire e condividere la loro visione per il futuro dell’impresa.
Anche in questo caso non è stato un processo breve, ma oggi la famiglia a recuperare il controllo della propria azienda grazie alla volontà dei proprietari ad investire tempo ed energie per la propria formazione in modo da poter ricominciare ad occupare quei ruoli critici che precedentemente erano rimasti vacanti.
Caso C: stanze disordinate
La famiglia C aveva una stanza del consiglio con un CEO non di famiglia e sottoperformante, per giunta affiancato da un consiglio di amministrazione poco preparato. Quando si riunivano, il CEO dirigeva il meeting presentando solo le informazioni che riteneva rilevanti e rispondendo alle domande dei membri del consiglio di amministrazione con un’esagerata quantità di dettagli tecnici poco comprensibili, tanto da suscitare nella proprietà una forte sensazione di inadeguatezza.
L’impresa non stava andando bene, ma da parte sua il CEO si era assicurato di poter godere di bonus estremamente generosi e scollegati dalle prestazioni aziendali, e nel frattempo aveva spiegato ai proprietari che sarebbe stato molto difficile garantire loro dei dividendi per almeno un paio d’anni.
Chiaramente, nella stanza del consiglio non erano presenti le persone giuste. Il problema è che trovarle non è poi così facile: affidare a degli esterni posizioni importanti nel proprio business è spesso causa di preoccupazioni molto pesanti per l’imprenditore.
A meno che non agiscano semplicemente da passacarte del consiglio di amministrazione, dei direttori indipendenti esercitano un forte potere all’interno dell’azienda. Ne apprendono i segreti pur rimanendo, ovviamente, esterni alla famiglia. Per poter condividere informazioni riservate con “estranei” è necessario un livello di fiducia estremamente alto.
Ma se la cosa funziona, un buon consiglio di amministrazione funge da cuscinetto e da ponte tra la proprietà e il business: risolvendo problematiche in modo corretto e imparziale, un buon team di direttori può aiutare a stabilizzare l’azienda di famiglia e a garantirne la continuità anche durante il passaggio generazionale.
Per mettere ordine nella stanza del consiglio è necessario riuscire a bilanciare il numero di direttori interni ed esterni alla famiglia. Con il passare del tempo, quasi sempre le stanze del consiglio si evolvono in un apparato costituito prevalente da esterni (di fiducia), ma in genere questo processo richiede molti anni.
La soluzione migliore è cercare di escludere i dirigenti esterni dal consiglio di amministrazione (con l’eccezione del CEO), affidandolo invece ai soli membri della famiglia maggiormente competenti e dedicati al business, e non a quelli che vogliono semplicemente preservare i propri interessi di proprietari.
Tenendo questo a mente, per aiutare la famiglia C è stato necessario fare due cose:
- Eleggere un gruppo ristretto di abili direttori indipendenti
- Spostare parte del processo decisionale dalla stanza del consiglio alla stanza della proprietà, non solo per poter dare maggiore voce ai desideri dei proprietari ma anche per mantenere le decisioni fuori dall’influenza del CEO (che per contratto non poteva essere rimosso).
Riassumiamo
L’analogia del modello a quattro stanze è un modo semplice ma dinamico di vedere il funzionamento dei processi decisionali nelle imprese familiari, specie nel corso del passaggio generazionale.
Dopo averlo cominciato ad applicare, un CEO ha dichiarato di essere diventato estremamente più efficiente nel proprio lavoro proprio per aver acquisito un metodo per gestire in modo efficace le problematiche relative al business con i suoi famigliari.
Ha infatti imparato che, qualora dovessero sorgere delle problematiche, può chiedere loro di seguire la procedura concordata invece di sovraccaricarlo con ogni dettaglio relativo alle decisioni che ha preso. Ciò naturalmente non significa evitare di affrontare problemi, ma affrontarli nei luoghi e con insieme alle persone più appropriate.
E ricorda: lavorare in squadra aiuta!
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