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Oggi parliamo di un argomento a sfondo green che coinvolge le scelte lavorative della generazione Z. Approfondito da un articolo di Hr Link.

Chi sono i climate quitters?

I Climate Quitters sono quei lavoratori che sarebbero disposti a lasciare la propria posizione per intraprendere una carriera nella lotta ai cambiamenti climatici, anche a fronte di una retribuzione inferiore.
Questo è emerso da un’indagine di KPMG: coloro che danno priorità agli impegni ambientali ed ecologici della propria azienda, sono i lavoratori appartenenti per lo più alla Generazione Z.

Climate quitters: la ricerca

Il fenomeno è emerso da una ricerca pubblicata attorno alla fine di gennaio da KPMG. In questo studio, viene evidenziato come i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) influiscono sempre di più sulle decisioni occupazionali degli impiegati del Regno Unito.
Il modus operandi è stato definito in modo netto e preciso: KPMG UK ha intervistato circa 6.000 impiegati adulti, studenti, apprendisti e coloro che si sono diplomati negli ultimi sei mesi sul loro atteggiamento nei confronti del lavoro. In questo modo è stato possibile estrapolare dati concreti e veritieri sulle tendenze delle scelte lavorative tra i giovani.

Cosa dicono le statistiche sui climate quitters

Il 55% delle persone con età compresa tra i 25 e i 34 anni, sono più motivate a valutare gli impegni nei confronti dei fattori ambientali, sociali e di governance condivisi del proprio datore di lavoro. Mentre, un intervistato su cinque ha affermato di aver rifiutato un lavoro perché gli impegni ESG dell’azienda non erano in linea con i propri valori.
Un altro risultato evidenziato dalla ricerca è che il 64% degli impiegati ammettono che, per motivi etici, ci sono alcuni settori in cui preferiscono non lavorare.

Da dove nasce il fenomeno dei climate quitters?

Alcuni esperti, hanno rilevato una connessione di questo fenomeno con la cosiddetta great resignation, ovvero delle grandi dimissioni legate alla pandemia, quando i lavoratori erano alla ricerca di un rapporto lavoro-vita migliore. Tuttavia, il dottorando in Scienze Economiche presso l’Università Bocconi e socio del think-tank Tortuga, Francesco Armillei, ha accolto l’analisi con più cautela. Infatti, in un’intervista a Repubblica cita: «In generale al di là dei primi mesi della pandemia, il grande addio da noi è stato un fenomeno molto rapido, ma non senza precedenti. Dopo la crisi del 2008 ad esempio, tornata la crescita, è accaduto qualcosa del genere in virtù di un mercato del lavoro più dinamico. Sono numeri quindi storicamente meno unici rispetto a quello che si pensava uno o due anni fa. Però c’è stato un interessante aumento nelle ricollocazioni, specie in campi diversi da quelli di provenienza.»
«Una delle componenti può esser stato il riconsiderare le priorità della vita. – Conclude Armillei – Ma non è sufficiente a spiegare tutto il fenomeno».

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